Modello gerarchico degli effetti della pubblicità

Modello gerarchico degli effetti della pubblicità

Modello gerarchico degli effetti della pubblicità modello tradi­zionale di analisi secondo il quale, affinché la ➔ pubblicità possa essere veramente efficace e valutabile, occorre prefissare in rela­zione al pubblico di riferimento una gerarchia di obiettivi inter­medi rispetto all’obiettivo finale dell’incremento delle vendite, sulla base dei quali verificare poi i risultati conseguiti. I modelli gerarchici degli effetti della pubblicità riprendono il modello psi­cologico del processo di persuasione in tre dimensioni secondo il quale la pubblicità agirebbe facendo passare il consumatore attra­verso una serie di fasi che vanno dalla non conoscenza all’acqui­sto del prodotto. In particolare, i modelli gerarchici classici dan­no delle tre componenti una definizione molto netta che vede:

– il think come l’attività mentale che produce conoscenza e pen­siero (belief o thought), valutabili precisamente attraverso le tra­dizionali misure di riconoscimento, ricordo e comprensione;
– il feel come i sentimenti e le emozioni, che presentano una componente psicologica e risultano non valutabili;
il do come l’intenzione di attivare un certo comportamento e la performance del comportamento in se stesso.

Secondo l’approccio tradizionale, il feel è necessariamente un fat­tore post-cognitivo, in quanto non si possono formare delle prefe­renze senza che prima sia stata creata conoscenza. Questo impli­ca che la componente affettiva di una preferenza si generi solo dopo che sono state effettuate la decodifica delle specifiche pro­prietà del prodotto, la valutazione delle relative utilità e la riela­borazione delle componenti di utilità individuali, ottenendo infi­ne, come risultato congiunto, l’atteggiamento complessivo verso il prodotto. L’atteggiamento, a sua volta, predispone l’individuo
ad agire in un certo modo nei confronti del prodotto, il che significa che un determinato comportamento non avverrà necessaria­mente, ma si verificherà probabilmente solo qualora se ne presenti l’opportunità.
A partire dagli anni Settanta, in seguito all’accrescersi della complessità dell’agire di consumo e della sua sempre maggiore compenetrazione con la vita degli individui, si è reso necessario studiare le scelte di consumo e i meccanismi della pubblicità facen­do riferimento all’individuo nella sua globalità e tenendo presen­te che il suo processo decisorio è il risultato di motivazioni psichi­che, anche inconsce, e di rapporti interpersonali attivati sulla ba­se di un forte legame con il contesto sociale in cui l’individuo opera e della cultura cui partecipa. Di conseguenza, i modelli su­gli effetti della pubblicità hanno abbandonato il tradizionale ap­proccio cognitivista (basato sullo studio dei belief), per approfon­dire l’analisi della componente affettiva, ossia degli effetti pubbli­citari sulla formazione degli atteggiamenti verso la marca. L’ipo­tesi di fondo alla base di questi modelli è che la pubblicità agisca soprattutto influenzando gli atteggiamenti e, di conseguenza, possa avere un forte impatto sulla brand equity e contribuire allo sviluppo di un posizionamento della marca interessante e unico.

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